‘Private label’ d’importazione e rischio del distributore, nota dell’avvocato Dario Dongo

La ‘private label’ aumenta, si distingue e si internazionalizza sempre più. Così che ai marchi tradizionali del distributore si aggiungono le marche private di catene di distribuzione estere. Un fenomeno interessante con un rischio da non trascurare, la ‘compliance’ delle etichette.

formaggio-fronteformaggio-retroPrendiamo a esempio questo formaggio d’oltralpe, a scaffale frigo di un supermercato capitolino. Campeggia sul fronte etichetta un’indicazione nutrizionale, ‘light’, il cui impiego è soggetto a precise condizioni. (1)

Il retro etichetta riporta le diciture obbligatorie in quattro lingue (francese, olandese, italiano e inglese), sia pure con alcune imprecisioni. È del tutto carente però la spiegazione, in lingua italiana, del perché il prodotto sarebbe ‘leggero’ come dichiarato.

Il testo originale a ben vedere precisa la natura del formaggio preso a paragone (maasdam) e i suoi valori nutrizionali medi, ma di ciò non v’è traccia nel testo italiano. Né sono tradotte in italiano le voci che compongono la dichiarazione nutrizionale.

L’analisi potrebbe proseguire, (2) ma tanto basta a integrare diverse violazioni del c.d. regolamento ‘claims’ che potranno venire sanzionate a breve anche in Italia. (3) Oltretutto, poiché il solo indirizzo fornito in etichetta è quello del ‘servizio consumatori’ di un gruppo francese, non è da escludere la concorrente responsabilità del gestore del punto vendita.

Dario Dongo

Note

(1) Cfr. reg. CE 1924/06, Allegato e articolo 9

(2) Si potrebbe considerare, ad esempio, la legittimità di un ‘claim’ comparativo riferito a prodotti e dati di un mercato estero


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