- 11/03/2016
- Postato da: Marta
- Categorie: Approfondimenti, Notizie

‘La Grande Illusione’ è l’epiteto che meglio può descrivere il collasso del regime europeo di nutrition & health claims riferiti agli alimenti. Dopo la stretta di vite della Commissione europea (1) sui criteri di valutazione della fondatezza scientifica delle indicazioni sulla salute relative ai cibi, rischia di abbattersi la scure della Corte di giustizia UE. L’Avvocato generale, nella causa C-19/15, è giunto infatti a rinnegare il campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1924/2006, adducendone l’estensione all’informazione rivolta agli operatori professionali. Su quali basi, e verso quali orizzonti?
Premessa. ‘La Grande Illusione’, il regolamento (CE) n. 1924/06
Il regolamento europeo su nutrition & health claims – pubblicato in Gazzetta Ufficiale dopo una gestazione durata oltre 5 anni – aveva finalmente introdotto la possibilità di comunicare ai consumatori le virtù riconosciute, legate a nutrizione e salute, di alimenti e bevande, loro categorie e sostanze in essi contenute. Al ricorrere di condizioni precisamente definite, per garantire la concreta rilevanza dei c.d. nutrition claims e la fondatezza scientifica ‘generalmente riconosciuta’ dei c.d. health claims.
Il rigore interpretativo della Commissione e della European Food Safety Authority (Efsa), in un vivace ping-pong di polemiche tra Roma e Bruxelles, aveva già messo fuori gioco non solo l’enorme lista delle indicazioni sulla salute proposte dagli Stati membri, ma pure il ristretto elenco elaborato da esperti di fama internazionale che avevano selezionato i claim sulla base dei criteri già adottati in altre aree del pianeta (es. USA, Giappone), già riveduti nell’ambito di un apposito progetto di ricerca europeo (2).
Le gravose condizioni di accesso alle procedure di autorizzazione di nuovi health claims avevano costretto a desistere non solo le PMI, ma anche i grandi gruppi industriali, causando così il crollo dei finanziamenti alla ricerca pubblica e privata sui c.d. functional foods e, più in generale, sulla relazione tra il consumo di determinati alimenti – anche tradizionali – e la salute.
Il regime oggi consente di utilizzare soltanto le indicazioni nutrizionali previste nell’elenco tassativo di cui in Allegato del reg. CE 1924/2006, e le indicazioni sulla salute accluse al reg. UE 432/2012 e successive modifiche, che contiene appunto l’elenco positivo dei soli health claims ammessi. Dal caos primigenio di regole disarmoniche nei vari Stati membri, talora troppo permissive o comunque prive di controlli, si è giunti al rigore assoluto che di fatto nega ai consumatori la possibilità di ricevere notizie utili a comprendere i valori di alcuni cibi rispetto alle esigenze di ciascuno. Escludendo ogni notizia basata su diversi livelli di evidenza scientifica (3).
Al di fuori del ristretto imbuto, le imprese europee impegnate in R&D (ricerca e sviluppo) hanno perciò affidato la propria sopravvivenza economica a due diversi canali commerciali:
– inquadramento giuridico dei prodotti come integratori alimentari, ove ne ricorrano le condizioni e vengano seguite le apposite procedure. Il Ministero della Salute può invero autorizzare il riferimento a precise funzionalità nutritive e fisiologiche (4), al di fuori del rigoroso contesto europeo di nutrition & health claims, in relazione ad alcune sostanze ed entro determinati limiti (modalità d’uso, standardizzazione dei principi attivi, limiti massimi giornalieri, etc.);
– informazione commerciale riservata a utenti professionali, quindi non diretta al consumatore finale. Promozione e pubblicità B2B (business to business), rivolta ad esempio ai buyer della GDO, erboristerie e para-farmacie, centri sportivi, estetici e di wellness, personale medico, nutrizionisti, eccetera.
Il campo di applicazione del c.d. regolamento claims è infatti limitato all’informazione diretta al consumatore finale: “Il presente regolamento si applica alle indicazioni nutrizionali e sulla salute figuranti in comunicazioni commerciali, sia nell’etichettatura sia nella presentazione o nella pubblicità dei prodotti alimentari forniti al consumatore finale, compresi quelli commercializzati senza imballaggio o offerti alla rinfusa.
Esso si applica anche ai prodotti alimentari destinati a ristoranti, ospedali, scuole, mense e servizi analoghi di ristorazione di collettività.“(5)
La vitamina D della Discordia
Un produttore tedesco di integratori alimentari, Innova Vital GmbH, nel novembre 2013 inviava a un certo numero di medici una lettera in cui promuoveva le presunte capacità di un suo prodotto a base di vitamina D3 (Innova Mulsin® Vitamin D3) di ridurre i rischi di varie malattie:
«Lei conosce la situazione: l’87% dei bambini in Germania ha un livello di vitamina D nel sangue inferiore a 30 ng/ml. Secondo la Società tedesca di nutrizione [Deutsche Gesellschaft für Ernährung], tale valore dovrebbe collocarsi piuttosto tra 50 e 75 ng/ml. Come già dimostrato da numerosi studi, la vitamina D svolge un ruolo notevole nella prevenzione di diverse patologie quali ad esempio la dermatite atopica, l’osteoporosi, il diabete mellito e la SM [sclerosi multipla]. Secondo tali studi, un livello di vitamina D troppo basso già in età infantile concorre a causare la successiva comparsa delle suddette patologie.”
L’associazione di categoria Verband Sozialer Wettbewerb citava subito in giudizio la predetta azienda per concorrenza sleale, presso il tribunale regionale bavarese, adducendo che tale lettera violava il dettato e lo spirito del regolamento CE 1924/06 su nutrition & claims. E i giudici di Monaco non esitavano a rimettere la questione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con un rinvio pregiudiziale, asserendo a loro volta che la normativa comune non era esplicita nell’escludere dal proprio ambito applicativo le comunicazioni commerciali indirette, come appunto quelle rivolte al personale medico.
Il pasticcio bavarese. Da Monaco a Lussemburgo, “La Corte è chiamata, per la prima volta, a determinare se le prescrizioni di detto regolamento si applichino qualora indicazioni nutrizionali e sulla salute relative a un prodotto alimentare fornito come tale ai consumatori figurino in comunicazioni commerciali rivolte non a questi ultimi, bensì esclusivamente a professionisti.” L’interpretazione letterale e logica del regolamento in esame a ben vedere non lascia adito a dubbi, si riferisce all’informazione diretta all’utente finale, il cittadino consumatore, punto e basta (6). La questione bavarese andava perciò risolta con altri strumenti di diritto, e invece no, la vicenda è precipitata.
La caduta di stile della Corte, dal diritto UE al merito bavarese
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, vale la pena ricordare, “è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.” (7)
La Corte è l’unica istituzione – al di là del legislatore europeo – a poter offrire interpretazioni ufficiali sul diritto comune, e a ciò deve rigorosamente attenersi. Ma in quest’Europa febBrexitante ove ciascuno cerca nuovi spazi, anche l’Avvocato generale (8) presso la Corte ha divagato un po’.
Nella causa C-19/15 il giurista di Lussemburgo pare essersi immedesimato coi magistrati di Monaco, entrando nel merito della battaglia in corso tra i produttori di farmaci e integratori per trovare una soluzione concreta e di buon senso. Ha tolto le castagne dal fuoco dei giudici locali senza causare imbarazzi tra i produttori concorrenti e la classe medica, ma nel fare ciò ha di fatto stravolto l’applicazione di una normativa che è strategica per il primo settore manifatturiero del continente.
Nelle proprie conclusioni (9) presso la Corte UE, l’avvocato generale si è anzitutto premurato di chiarire che non è possibile attribuire agli alimenti proprietà di prevenzione e cura delle malattie, ma soltanto semmai di riduzione di fattori di rischio di malattie, e dunque i claim esperiti da Innova Vital GmbH sono illegittimi. E nessuno avrebbe mai opinato altrimenti, visto il palese contrasto sia con la normativa generale di informazione ai consumatori sui cibi (10), sia con quella relativa a nutrition & health claims.
In secondo luogo, il consulente della Corte ha ritenuto di non poter escludere l’applicazione del regolamento (CE) n. 1924/06 dalle comunicazioni commerciali in quanto riferite al prodotto in quanto tale più che alla tipologia di destinatario.
“È pertanto il prodotto stesso che deve essere necessariamente destinato ai consumatori, e non la comunicazione di cui esso è oggetto“, ha asserito l’avvocato generale. La sintetica definizione del campo di applicazione del regolamento claims viene di fatto interpretata in senso estensivo e creativo (11) al punto da inferire che esso vada a ricomprendere tutte le comunicazioni commerciali – cioè quelle “con finalità economiche” – prescindendo dalle caratteristiche dei loro destinatari.
Rischi e prospettive
Se la Corte deciderà di seguire l’interpretazione proposta dall’avvocato generale (12), si verificherà un grave scompiglio rispetto alle pratiche commerciali che si sono consolidate nel corso degli anni, con il comprensibile avallo delle istituzioni amministrative. L’informazione B2B è stata invero articolata dagli operatori di settore su due livelli:
– indicazioni autorizzate ai sensi del reg. CE 1924/06 e successivi, da utilizzare sulle etichette dei prodotti e divulgare ai consumatori con materiale pubblicitario, siti web e social network,
– informazioni e brochure riservate ai professionisti, con obiettivi di comunicazione più completa per una migliore comprensione e differenziazione delle singole referenze, evidenza delle prerogative di ogni SKU, condivisioni sullo sviluppo di ricerche e nuovi prodotti. In linea con le esigenze dei professionisti stessi, medici e non, a disporre di notizie ulteriori e venire aggiornati su temi attinenti alle loro attività.
Il secondo livello di informazione è indispensabile alle imprese che investono in R&D e non dispongono di altri strumenti per comunicare i loro valori e investimenti.
Senza cessare di sperare che la Corte di Giustizia possa disattendere le conclusioni del suo giurisperito, bisogna già prepararsi ad affrontare l’ipotesi peggiore, in quanto le sue sentenze che interpretano regolamenti dell’Unione Europea hanno applicazione immediata e necessaria nel diritto degli Stati membri. Il legislatore dovrebbe perciò intervenire subito e chiarire ancora meglio quanto tutti fino a ora avevano ritenuto lapalissiano.
A livello operativo, la nostra squadra di FARE – Food & Agriculture Requirements ha frattanto messo a punto un contingency plan per i propri Clienti.
Dario Dongo
Note
(1) Il reg. CE 353/08, si ricorda, ha introdotto criteri di valutazione dei claim sui cibi ben più rigorosi di quelli previsti per i farmaci – straordinariamente più rigorosi di quelli stabiliti per i farmaci tradizionali di origine vegetale di cui alla Direttiva 2004/24/CE – arrivando a pretendere studi clinici in doppio cieco contro placebo su individui sani pubblicati su riviste scientifiche ad alto impact factor. Vale a dire, prove diaboliche la cui estrema onerosità ha causato il crollo della ricerca in Europa su probiotici e alimenti funzionali
-> Video “Innovating Food Innovating the Law – Part 6 – Dario Dongo” https://vimeo.com/31033738
(2) 44.000 furono i claim proposti dai Ministeri della Salute dei Paesi membri, 3.000 quelli selezionati dagli esperti di parte industriale, 222 quelli ammessi nel regolamento (UE) 432/2012 (95% dei quali relativi ai soli micronutrienti, vitamine e minerali)
(3) A nulla è valso l’esempio positivo degli USA, laddove al preciso scopo di favorire l’educazione nutrizionale e il miglioramento della salute pubblica si permette di comunicare notizie basate sull’esperienza tradizionale e la ricerca in atto, sia pure con un disclaimer volto appunto a chiarire che non si tratta di ‘verità biblica’. Cfr. http://www.fda.gov/Food/GuidanceRegulation/GuidanceDocumentsRegulatoryInformation/LabelingNutrition/ucm064908.htm
(4) Cfr. direttiva 2002/46/CE sugli integratori alimentari, DM 9.7.2012 (come modificato dal D.M. 27.2.14) – “Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali“, D.M. 31.7.07, “Norme per l’attuazione della direttiva 2006/37/CE, che modifica l’allegato II della direttiva 2002/46/CE per quanto concerne l’inclusione di alcune sostanze“, D.M. 27.3.14, All. 1 – “Sostanze e preparati vegetali“
(5) Reg. (CE) n. 1924/06, articolo 1, paragrafo 2
(6) In linea con le norme generali sull’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari (reg. UE n. 1169/11, ove le estensioni sono chiaramente definite) e con la stessa direttiva sulle pratiche commerciali sleali, dir. 2005/29/CE
(7) TFUE, art. 267
(8) L’avvocato generale ha il ruolo istituzionale di analizzare nel dettaglio gli aspetti giuridici della controversia e in piena indipendenza proporre alla Corte la risposta che reputa si debba fornire al problema posto
(10) Reg. (UE) n. 1169/11, come già la dir. 2000/13/CE e prima ancora la dir. 1979/112/CEE
(11) Un’interpretazione “teleologica”, come riconosciuto dal suo stesso autore (conclusioni, punto 35)
(12) Così, la proposta di statuizione formulata dall’avvocato alla Corte: “L’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, deve essere interpretato nel senso che le disposizioni di tale regolamento si applicano alle indicazioni nutrizionali e sulla salute relative a prodotti alimentari forniti come tali al consumatore finale, formulate in comunicazioni commerciali, qualora dette comunicazioni siano indirizzate esclusivamente a professionisti ma abbiano l’obiettivo di raggiungere indirettamente, attraverso questi ultimi, i consumatori.“