- 05/10/2016
- Postato da: Marta
- Categorie: Approfondimenti, Notizie
La crisi del mercato cerealicolo. La crisi di mercato in cui versa il settore del grano italiano comporta l’onere di riorganizzare la filiera per un corretto rapporto tra domanda e offerta del prodotto, ora soggetto alle fluttuazioni del mercato internazionale, con forte penalizzazione dell’offerta interna, ricorrendo alla Commissione unica nazionale (CUN) per attivare gli strumenti per la definizione di un prezzo equo del grano tra produttori e industria della trasformazione.
In Commissione Agricoltura della Camera sono state discusse congiuntamente quattro risoluzioni (1) sollecitanti iniziative per la tutela del settore del grano duro (2).
Al termine dell’esame (28 settembre 2016) sono state approvate due risoluzioni (3).
I quattro atti di indirizzo toccano diversi aspetti e problemi intorno a questo cerale: il suo approvvigionamento, la cerealicoltura in generale, la formazione e la fissazione dei prezzi, il mercato comunitario, l’importazione, la politica agricola comune, il sostegno agricolo, il sostegno dei prezzi, il regime di aiuto, la politica della PAC.
Secondo COLDIRETTI i valori sono ormai di sotto ai costi di produzione; flessioni dovute alla mancanza di norme che regolino il mercato e alle importazioni speculative.
Per CONFAGRICOLTURA pesa anche l’insufficiente capacità di stoccaggio. Il risultato, comunque, è che dal grano al pane i prezzi aumentano del 1.450%.
In realtà sono mutate le necessità dell’industria del pane e della pasta. Il prezzo, fra l’altro, è definito da un mercato globale in un contesto internazionale instabile.
Le quotazioni dei prodotti agricoli – sottolinea la COLDIRETTI – dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade (4) il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole su cui chiunque può investire anche con contratti derivati. Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta è pagato anche diciotto centesimi il chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai sedici centesimi il chilo, su valori di sotto i costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo – precisa la COLDIRETTI – non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche un territorio di due milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
Conclude COLDIRETTI: “Dai campi agli scaffali ci sono dunque margini da recuperare per non far chiudere le aziende agricole e non pesare su un sistema produttivo che ha bisogno del Made in Italy per essere credibile sui mercati nazionali ed esteri” ha affermato il presidente della COLDIRETTI Roberto Moncalvo nel rilevare che “occorre investire nella programmazione strutturale per non perdere definitivamente il patrimonio di qualità e biodiversità dei grani italiani che rappresenta il valore aggiunto della produzione nazionale.”
Quanto all’AIDEPI (l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) in un dossier reso pubblico e dal titolo “Grano duro e pasta: il punto di vista dei pastai italiani (Verità oltre gli slogan)” afferma: si utilizza il grano duro estero per fare la pasta, perché quello nazionale non è sufficiente. Così prosegue il ragionamento dell’Associazione: il grano estero non è preferito per risparmiare, dacché spesso costa anche di più di quello nazionale. L’industria della pasta italiana importa da sempre grano duro dall’estero; non si è stati mai stati autosufficienti e il ruolo di leader mondiali del mercato della pasta dell’Italia ci ha posto, da sempre, tra i Paesi con maggiore fabbisogno di questa materia prima. Quanto alla sicurezza, tra grano nazionale ed estero non c’è differenza. Entrambi sono controllati da molte istituzioni pubbliche e dagli stessi produttori di pasta, prima d’immetterli nel proprio ciclo produttivo. La contrapposizione tra grani antichi e moderni non ha senso: la storia del grano è fatta di convivenza e commistione tra specie precedenti e nuove varietà. L’indice di glutine del grano moderno non è diverso da quello di altre varietà di grano coltivate in Italia ab immemorabili. Non esistono evidenze scientifiche sul fatto che l’aumento di celiachia e disturbi correlati sia dovuto al troppo glutine presente nei grani moderni. Da ultimo, per tre italiani su dieci una dieta senza glutine fa dimagrire: ma è vero il contrario.
L’esame in Commissione. La discussione in Commissione Agricoltura della Camera della prima risoluzione presentata, la 7-00987 Mongiello (PD) sulle iniziative per la tutela del settore del grano duro, ha avuto inizio il 6 giugno 2016. Nel prosieguo dell’esame si sono aggiunte altre tre risoluzioni, che muovono tutte dalla considerazione dell’attuale crisi di mercato in cui versa il settore del grano italiano e la necessità di organizzare la filiera al fine di perseguire un corretto rapporto tra domanda e offerta del prodotto, altrimenti soggetto alle fluttuazioni del mercato internazionale, con forte penalizzazione dell’offerta nazionale.
Peraltro è stato ricordato, nel corso del dibattito, che il Governo ha assunto l’impegno di intervenire sia sulle crisi di prezzo sia sulle manovre speculative che agiscono sul settore, rispondendo (5) presso la stessa Commissione il 3 febbraio 2016 all’interrogazione n. 5-07954, presentata da Gallinella (M5S), quando affermò che era in corso di predisposizione un decreto sui criteri di riconoscimento delle organizzazioni dei produttori (OP).
Dall’altro parlamentare del M5S (L’Abbate) è stato fatto presente che il Governo ha a disposizione anche lo strumento della Commissione unica nazionale (CUN) per attivare gli strumenti per la definizione di un prezzo equo del grano tra produttori e industria della trasformazione.
Dopo la pausa estiva la Commissione, considerato che il settore cerealicolo del grano duro versa da tempo in una situazione di emergenza e che vi è quindi la necessità di intervenire in maniera tempestiva, stringe i tempi per arrivare a un testo condiviso.
Emerge altresì la necessità di accelerare i tempi di esame e approvare uno o più atti d’indirizzo per l’’Esecutivo in tempi brevi, anche per evitare che la Commissione si trovi ad approvare una o più risoluzioni successivamente all’adozione del piano cerealicolo nazionale da parte del Governo, cosa che priverebbe di significato le risoluzioni medesime.
Audizioni. La Commissione Agricoltura ha svolto una serie di audizioni informali (pertanto non resocontate) nell’ambito della discussione congiunta delle risoluzioni sulle iniziative per la tutela del settore del grano duro. Sono stati ascoltati rappresentanti delle organizzazioni agricole AGRINSIEME (Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza delle cooperative italiane-agroalimentare), COLDIRETTI, UE COOP e UNCI; dell’Associazione industrie del dolce e della pasta (AIDEPI, dell’Associazione industriali mugnai d’Italia, della Federazione italiana movimenti agricoli (FIMA), di FEDERBIO, di Giuseppe De Mastro, professore associato in Coltivazioni erbacee presso la Facoltà di Agraria di Bari, e Laura Ercoli, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee presso la Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa; rappresentanti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) .
Il 2 agosto 2016 il CREA ha consegnato agli atti della Commissione Agricoltura della Camera un puntuale e aggiornato documento, a cura di Nicola Pecchioni, direttore del Centro di ricerca per la cerealicoltura di Foggia, documento contenente “Considerazioni (…) sulla qualità del grano italiano, con particolare riferimento al contenuto proteico”. Le riflessioni ivi contenute attengono al contesto internazionale della coltivazione del grano duro, alla situazione italiana e alla leadership nella produzione di pasta, al contenuto proteico correlato al mercato internazionale, ai fattori che influenzano la qualità del grano duro, ai vari aspetti della qualità del grano duro (tracciabilità, rintracciabilità, requisiti igienico-sanitari), all’attività di servizio per valorizzare la filiera del grano duro italiano alle sfide della ricerca in questo settore.
Nelle “Considerazioni conclusive” del documento si evidenzia che “ il mantenimento di una cerealicoltura competitiva è particolarmente problematico per l’Italia per la nota debolezza strutturale e organizzativa. Tuttavia, il rilancio della filiera semenziera, attraverso il ricorso a una strategia di ricerca e sviluppo innovativa (R&S) con il concorso della ricerca pubblica e di quella privata intorno ad un obiettivo comune, rappresenta una vera opportunità per sostenere lo sviluppo del settore e superare le criticità. Un impegno di ricerca in questo settore potrebbe avere effetti trainanti sull’intero comparto agricolo, tenuto conto della rilevanza economica e della superficie investita a cereali nel nostro Paese.
Nello specifico una concreta e incisiva azione di R&S potrebbe:
1) tutelare la produttività e valorizzare ulteriormente la qualità e il legame territoriale delle produzioni Made in Italy;
2) salvaguardare la professionalità e le strutture non solo delle aziende semenziere, ma anche degli agricoltori, così come mantenere a coltura importanti superfici destinate alla produzione del seme certificato;
3) assicurare la tracciabilità delle produzioni, che non può che avere origine dall’uso di sementi certificate. L’impiego di sementi certificate ha richiamato negli ultimi decenni l’interesse della ricerca pubblica e privata verso il settore cerealicolo, con la costituzione di numerose nuove varietà dotate di caratteristiche di pregio sia sotto gli aspetti qualitativi, per la produzione di pane e pasta (proteine, glutine, colore, ecc.), sia sotto quelli produttivi, come dimostrano i dati poliennali sulle rese, raddoppiate rispetto agli anni sessanta; tale incremento è da imputare, oltre al perfezionamento della tecnica colturale, soprattutto, al miglioramento genetico. L’uso di sementi certificate, attraverso il pagamento delle royalties ai costitutori, ha contribuito in modo determinante a sostenere i costi dell’attività di breeding “ (una piattaforma digitale gratuita che permette il trasferimento e la distribuzione dei generi alimentari in eccesso verso chi ne ha più bisogno) “e, più in generale, al miglioramento qualitativo e quantitativo della produzione nazionale disponibile per l’industria di trasformazione. L’esclusione dell’obbligatorietà d’impiego del seme certificato ha un impatto negativo sull’intera filiera cerealicola e sul settore semenziero in particolare, compromettendone la competitività, con rischi di ridimensionamento del comparto e di un’ulteriore perdita di competitività. Il decadimento delle caratteristiche quantitative e qualitative indotto dal mancato impiego di sementi certificate renderà le produzioni non rispondenti alle richieste dall’industria di trasformazione, con il conseguente deprezzamento delle produzioni nazionali e un maggiore ricorso a importazioni di granella estera. Il mancato impiego di seme certificato comporterà, inoltre, ripercussioni negative anche sulle strategie di valorizzazione dei prodotti trasformati, con l’impossibilità di assicurare la tracciabilità e la rintracciabilità e valorizzare le produzioni cerealicole nazionali. Nel nostro Paese si assiste a una logica di disinvestimento nel seme da parte delle aziende agrarie, che in molti casi rivendicano il diritto di risemina e una ritrosia al riconoscimento dei diritti del costitutore, evitando così l’acquisto di seme certificato (il cui maggiore costo, rispetto al seme non certificato, è quantificabile in circa 25 € per ettaro ha per effetto dei costi di selezione).
Merita riflettere brevemente sulle sorti di un altro paese, la Francia, che ha fatto degli accordi interprofessionali, dell’organizzazione in classi qualitative, dello stoccaggio differenziato e della ricerca avanzata, dei veri e propri pilastri del proprio sistema cerealicolo. In Francia la ricerca di nuove varietà non si sostiene con il solo pagamento delle cosiddette Royalties o con il finanziamento pubblico, ma con il ruolo attivo degli agricoltori che versano una tassa, la cosiddetta CVO (Contribution Volontaire Obligatoire), di 0,7 €/tonnellata di grano raccolto e conferito al centro di stoccaggio. Con questo intervento sono stati raccolti nel solo 2015 circa ventitré mln di euro, dei quali 1) 11 milioni di euro sono stati ridistribuisti agli agricoltori che avevano fatto uso di semente certificata, 2) circa 12 milioni di euro sono stati destinati alle aziende semenziere per la ricerca privata di nuove varietà, e 3) circa 2 milioni di euro sono stati destinati alla ricerca pubblica per il supporto allo sviluppo di nuove varietà.
Pertanto sarebbe auspicabile, anche in Italia, attivare accordi interprofessionali in grado di puntare a un più alto grado d’innovazione di prodotto, con la ricerca varietale e agronomica, e al potenziamento delle strategie di stoccaggio, trasformazione e commercializzazione”.
Conclusione del dibattito svoltosi presso la Commissione Agricoltura della Camera sul grano duro.
Nella seduta risolutiva del 28 settembre vengono ritirate da Monica Faenzi la risoluzione 7-01054 e da Adriano Zaccagnini la 7-01068 i quali sottoscrivono la risoluzione Mongiello redatta in una nuova formulazione, che accoglie le indicazioni contenute nelle due citate risoluzioni.
Interviene quindi il Sottosegretario Castiglione che accetta entrambe le due residue risoluzioni, purché riformulate in alcune parti della motivazione e della dispositiva. Mongiello e l’Abate Colomba dichiarano di accettare le riformulazioni proposte dal Governo.
Al termine La Commissione approva la risoluzione Mongiello 7-00987 come riformulata, che assume il numero 8-00201 e, infine, la risoluzione L’Abbate 7-01045 come riformulata, che assume il numero 8-00202.
Le parti dispositive delle due risoluzioni approvate.
La risoluzione Mongiello impegna il Governo:
a promuovere meccanismi che garantiscano la tracciabilità e l’indicazione dell’origine nella commercializzazione dei prodotti a base cerealicola, segnatamente della pasta di grano duro, capace di tutelare le scelte del consumatore e fornirgli garanzie sulla vera origine delle materie prime utilizzate, quali il frumento, la fecola e la farina;
a intraprendere ogni più utile iniziativa volta a tutelare gli agricoltori operanti nel settore dei cereali e a valorizzare il grano di origine italiana, anche attraverso misure dirette a:
a) incrementare la produzione nazionale senza accrescere la pressione sulle risorse ambientali, attraverso la razionalizzazione della coltivazione delle varietà tradizionali di pregio e lo studio di sistemi colturali in grado di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica;
b) sostenere e promuovere attività di ricerca per implementare e migliorare la produttività delle colture cerealicole, segnatamente del grano duro e le relative rese proteiche;
c) sostenere e incentivare l’aggregazione e l’organizzazione economica della filiera del grano, anche alla luce delle novità contenute nella nuova OCM unica di cui al regolamento (UE) n. 1308/2013 che introduce lo strumento della contrattualizzazione tra produttori cerealicoli e acquirenti industriali e commerciali ponendo le basi per la rivisitazione e il rilancio del sistema delle organizzazioni di produttori (OP) e degli organismi interprofessionali (OI);
d) adeguare il sistema della ricerca verso le reali necessità della produzione in termini di genetica, di lotta ai patogeni e di tecniche di coltivazione a maggiore resa;
e) favorire la nascita di un piano proteico nazionale;
f) stimolare l’ottimizzazione delle strutture logistiche per migliorare i trasporti del prodotto, la buona conservazione della materia prima e la diffusione competitiva sul territorio di centri di stoccaggio, così da assicurare al meglio anche la competitività produttiva e il reddito degli agricoltori;
g) prevedere misure di sostegno in favore degli agricoltori che decidono di effettuare interventi d’innovazione nel settore di produzione dei cereali, segnatamente in quello del grano duro;
Ad assumere ogni più utile e immediata iniziativa per fare fronte alle criticità che sta attraversando il settore del grano duro in Italia, segnatamente nelle regioni del Sud, e in tale ambito, ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché si pervenga all’attuazione, con il corredo di un opportuno finanziamento, del piano cerealicolo nazionale vigente e delle relative misure che riguardano la creazione di una relativa filiera di valore, formata dalle imprese produttrici della materia prima e delle industrie di trasformazione delle relative produzioni, anche allo scopo di assicurare la creazione di un sistema organizzato della pasta made in Italy;
ad attivarsi affinché nell’ambito dell’attuazione del predetto piano, o in alternativa attraverso l’assunzione di iniziative specifiche anche di carattere normativo siano attuate specifiche azioni in favore delle regioni vocate del Mezzogiorno finalizzate al rafforzamento della filiera del grano duro.
Quanto alla parte motivazionale si rinvia alla nota in calce. (6)
La risoluzione L’Abbate impegna il Governo a:
a effettuare un eventuale aggiornamento centrato sulla definizione di specifici e singoli interventi ritenuti più consoni per affrontare il carattere emergenziale dell’attuale crisi, anche in relazione alle effettive risorse finanziare disponibili a:
a) assumere iniziative al fine di assicurare all’industria di trasformazione determinati volumi e al produttore la collocazione del proprio prodotto a prezzo congruo e slegato dalle contrattazioni delle borse merci, volte ad incrementare le risorse da destinare al sostegno degli accordi di filiera e ad attivare una Commissione unica nazionale per il mercato dei cereali;
b) assumere iniziative per indirizzare la ricerca verso l’ammodernamento della filiera a partire dal settore semenziero, agricolo e industriale di trasformazione mediante l’attribuzione di risorse dedicate ed il sostegno alla costituzione di gruppi operativi di cui all’articolo 56 del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale;
c) promuovere la valorizzazione delle produzioni di qualità e salubri e la loro innovazione tramite il trasferimento delle conoscenze della ricerca tecnologica e scientifica;
a destinare specifiche risorse finalizzate alla realizzazione e/o miglioramento d’impianti di stoccaggio, con priorità a quelli gestiti dalle Organizzazioni di produttori e da forme di aggregazione degli agricoltori;
a predisporre adeguati interventi volti a garantire lo stoccaggio differenziato di grano duro, in particolare attraverso la certificazione delle analisi per i principali parametri qualitativi;
al fine di differenziare e valorizzare il prodotto italiano all’origine, a predisporre una griglia di valutazione volta a definire classi di qualità, quale strumento in grado di differenziare le caratteristiche della granella, non solo sulla base dei parametri merceologici come il peso ettolitrico, l’umidità e il contenuto proteico, e reologici, quali le peculiarità del glutine, ma anche sulle base delle caratteristiche chimiche e microbiologiche intese come contenuto di: micotossine, residui di erbicidi quali il glifosato, pesticidi (molto utilizzati nella conservazione post-raccolta), metalli pesanti e radioattività;
a realizzare un adeguato monitoraggio fito-sanitario anche attraverso il campionamento organizzato nelle aree cerealicole.
Quanto alla premessa si rinvia alla nota sottostante. (7)
Bruno Nobile