- 12/04/2015
- Postato da: Marta
- Categoria: Notizie

Il 20 maggio 2015 la Commissione europea, come si è accennato, ha depositato un rapporto sull'origine delle materie prime degli alimenti mono-ingrediente, di quelli aventi un ingrediente primario (>50%) e dei cibi non trasformati. Ma anche una relazione sulla provenienza del latte, del latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni diverse della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili. Ancora una volta, niente di nuovo sul fronte occidentale.
In Italia a ben vedere già da dieci anni vige l'obbligo (1) di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il solo latte fresco. Ciò non ha arrecato particolari disagi alla filiera produttiva, nè ha comportato un aggravio dei costi o dei prezzi al consumo. E anzi purtroppo, questo tentativo di valorizzare il latte della nostra penisola è risultato di ben poco conto rispetto ai gravi danni arrecati agli allevamenti italiani dalla riforma della PAC (2), improvvida e sconsiderata per tale filiera.
La relazione di Bruxelles ha peraltro considerato un più vasto ambito, l'origine del latte – fresco e UHT – come pure di quello utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari. Una prospettiva di grande spessore per tutti i prodotti lattiero-caseari la cui 'supply-chain' non sia già controllata nel quadro dei disciplinari delle numerose DOP (es. Parmigiano Reggiano, Grana Padano, e tanti altri formaggi tipici). Di peculiare rilievo per i consumatori, per distinguere ad esempio le mozzarelle vere rispetto a quelle realizzate con cagliate congelate del Nord ed Est Europa.
Lo stesso rapporto considera altresì l'ipotesi di estendere l'indicazione obbligatoria d'origine alle carni delle specie che in Europa ne sono ancora prive (3), vale a dire equini, conigli e lepri, struzzi e quaglie, selvaggina. Un'ipotesi di non poco conto dopo lo scandalo pan-europeo delle carni di cavalli – anche da corsa (!) – ritrovate mediante analisi del DNA in un'ampia serie di prodotti e piatti pronti in ogni parte d'Europa, poco dopo la pubblicazione del c.d. FIR, 'Food Information Regulation' (4).
Ma neppure l'esperienza delle 'lasagne al galoppo' e del 'destriero nel ragù' sono bastate a smuovere l'immobilismo della Commissione che – a seguito di rituale studio di fattibilità, sulle varie opzioni disponibili per l'etichettatura di origine obbligatoria dei citati alimenti – ha ancora una volta proposto di mantenere lo 'status quo'. Sulla scia delle precedenti relazioni, Bruxelles ha ripetuto il solito gioco. Considerato l'interesse dei consumatori a ricevere maggiori notizie sulla provenienza dei cibi loro offerti, sono stati stimati i potenziali oneri e costi aggiuntivi a carico delle imprese e delle autorità pubbliche.
Senza neppure accennare ai vantaggi in termini di maggiore garanzia della sicurezza alimentare, che si associa a misure e controlli più stringenti sulla tracciabilità delle merci, l'esecutivo comunitario ha perciò concluso che 'non ne vale la pena'. I prezzi al consumo aumenterebbero in misura superiore alla propensione del consumatore a corrispondere un sovrapprezzo per fruire di maggiori informazioni. La Commissione suggerisce quindi di mantenere un approccio volontaristico. Sarà un caso, o forse no, in questi giorni il Congresso USA ha votato la cancellazione dell'obbligo di indicare l'origine sulle carni (5).
Dario Dongo
Note:
(1) Cfr. D.M 27 maggio 2004, D.M. 14 gennaio 2005
(2) Politica Agricola Comune
(3) Prescrizioni apposite sono infatti stabilite sia per le carni bovine (reg. CE 1760/2000, 1825/2000), sia per quelle ovina e caprina, di suini e pollame (reg. UE 1337/2013)
(4) Reg. UE 1169/11
(5) http://apnews.myway.com/article/20150611/us-congress-meat-labeling-11265046c4.html