- 28/12/2016
- Postato da: Marta
- Categorie: Approfondimenti, Notizie
Mentre la domanda di prodotti biologici continua a crescere in tutta Europa, il nuovo regolamento comunitario sulla materia stenta a vedere la luce. A frenarne il percorso è l’opposizione incrociata che divide da un lato produttori e agricoltori, dall’altro Paesi del Nord e del Sud Europa.
A che punto siamo, quali i rischi dello stallo? Ne parliamo con Luigi Tozzi, responsabile Ufficio Sicurezza alimentare e Qualità delle Produzioni agro alimentari in Confagricoltura.
Sono ormai quattro anni che la Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento per l’agricoltura biologica. A che punto siamo?
L’ultimo regolamento è del 2007 e in questi anni la produzione bio si è sviluppata in modo considerevole grazie alla nuova sensibilità ambientale del consumatore. La consultazione pubblica lanciata dalla Commissione nel 2012 aveva dato le indicazioni più importanti per aggiornare il settore. Aumentare la fiducia del consumatore, controlli più efficaci, semplicità delle informazioni riportate in etichetta, semplificazione delle procedure per la certificazione erano tra le principali richieste che i consumatori e i produttori avevano fatto. Tutti temi che il legislatore europeo ha cercato di migliorare con la nuova proposta di regolamento. Appena presentata la proposta, però, sono apparse chiare le nette differenze tra la concezione del bio dei Paesi del Nord e di quelli del Sud.
Quali sono le diverse posizioni emerse attorno al biologico?
I Paesi del Nord, spalleggiati dall’industria della trasformazione e dalla grande distribuzione (Ifoam) vogliono una deregulation dell’agricoltura biologica, nessuna armonizzazione ed efficacia dei controlli, eliminare il legame tra frutto e Terra, permettere di coltivare e allevare in modo biologico piante e animali anche dove la Natura non lo permette. I Paesi del Sud vogliono invece una semplificazione delle procedure che vada di pari passo con l’efficacia dei controlli, l’armonizzazione delle loro procedure, dei limiti tecnici di rilevazione delle contaminazioni accidentali, il mantenimento del legame tra prodotto e Terra (no idroponica ad esempio).
Due concezioni opposte, come conciliarle?
Bisogna tenere conto delle specificità di queste produzioni, delle attese della domanda, senza sacrificarli al profitto. La consultazione pubblica aveva chiaramente dimostrato che il consumatore acquista biologico perché ha fiducia della garanzia di qualità con cui è prodotto. Il sistema dei controlli è strutturato nello stesso modo in tutti gli Stati membri, anche se non omogeneo in alcune sue parti. Proprio la richiesta di questa omogeneità è stata oggetto del contendere. Rifiutarla significa ignorare la domanda dei consumatori.
Il legame del prodotto agricolo con la terra è l’altro elemento critico. Perché?
Il legame con la Terra non è un semplice ideale, ma l’essenza stessa dell’agricoltura biologica. Infatti è proprio sul rispetto del rapporto tra la Terra e la pianta (o l’allevamento) che si fonda questo tipo di produzione agricola. Utilizzare tutta la potenzialità del terreno (biodiversità) mantenendola e migliorandola attraverso i cicli naturali di produzione e raccolta, l’uso di specifiche colture, utilizzare solo il sole, l’acqua e le sostanze nutritive del terreno questa è l’agricoltura biologica. Anche in serra si utilizza la terra, e si adopera la sua biodiversità e la si rigenera. Ma le colture idroponiche – o su mezzi diversi dalla terra – sono assolutamente fuori dai fondamenti dell’agricoltura biologica. È chiaro che per Paesi quali l’Olanda, la Svezia e quelli del Nord in generale, che vorrebbero coltivare prodotti tipicamente mediterranei, questo è un limite molto grande. Ma forse è il caso di ribadire che non si può coltivare con il metodo dell’agricoltura biologica tutto ciò che si vuole.
Su questi ideali fondamentali c’è stato uno scontro anche all’interno del mondo agricolo, diviso ancora una volta tra Nord e Sud. Come uscirne?
Solo nell’ultima riunione, grazie alla mediazione di Confagricoltura, sostenuta da tutte le altre Organizzazioni professionali italiane, si è riusciti ad arrivare a una posizione condivisa, molto vicina a quella dei Paesi del Sud. Ma lo scontro tra diverse visioni e sensibilità ha prodotto uno stallo tale che il regolamento è ancora in discussione al Trilogo (il tavolo tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo). Speriamo che il nuovo indirizzo comune trovato dal principale attore del biologico, l’agricoltura, possa facilitare il dialogo nel Trilogo e portare ad un’approvazione del regolamento entro il 2017.
Quali sono i rischi di un ulteriore ritardo nella definizione del regolamento?
Con la domanda di biologico in continua crescita, con procedure di controllo e certificazione così diverse da Stato a Stato, si rischia che l’industria di trasformazione e la grande distribuzione costruiscano disciplinari alternativi, facendo quindi pagare due volte alle imprese agricole i costi del sistema e utilizzando regole fuori da un mercato condiviso e unico come dovrebbe essere quello europeo. Una vittoria è stata comunque ottenuta. I prodotti biologici importati dai Paesi extraUe dovranno essere controllati e prodotti conformemente al sistema europeo e non più soggetti ad un sistema di controllo e produzione giudicato equivalente dalla UE.
Dario Dongo