- 03/02/2016
- Postato da: Marta
- Categorie: Approfondimenti, Notizie

Aumenta progressivamente il numero dei vegetariani e vegani in Italia, l’8% circa dei consumatori secondo recente sondaggio Eurispes. Cresce di pari passo l’offerta, non più solo nelle sfavillanti ’boutique’ del bio ma pure a scaffale della GDO, ‘discount’ compresi. Con un solo, diffuso quanto grave problema, le denominazioni di vendita illegali. Vediamo perché.
La denominazione dell’alimento è la prima informazione obbligatoria prescritta in etichetta, al preciso scopo di chiarire al consumatore la natura del prodotto offerto. Il regolamento (UE) 1169/11, c.d. ‘Food Information Regulation‘, chiarisce che ‘la denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale1. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale2; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva3‘ (art. 17.1). Precisando, a scanso di equivoci, che ‘La denominazione dell’alimento non è sostituita con una denominazione protetta come proprietà intellettuale, marchio di fabbrica o denominazione di fantasia‘ (art. 17.4).
È dunque palese l’illegittimità di diciture quali ‘würstel’, ‘salame’, ‘salsiccia’, ‘filetto’, ‘burger’, ‘bistecca’, ‘bresaola’, prosciutto’ su alimenti di origine vegetale, i quali appartengono a una categoria diversa da quella a cui queste denominazioni usuali sono riferite. Le autorità di controllo – che nel corso degli anni hanno sottovalutato il problema, in origine relegato a un fenomeno di nicchia – sono ora prive di strumenti sanzionatori specifici, fatta salva la remota ipotesi di contestazione di reati.
Gli operatori responsabili, vale a dire i titolari dei marchi con i quali gli alimenti sono commercializzati4, farebbero perciò bene ad adeguare con celerità la propria informazione commerciale prima che sia troppo tardi. Etichette e pubblicità alimentari, siti web e social network riferibili alle aziende e ai loro prodotti, subito a norma di legge. Verrebbe infine da chiedersi perché evocare l’imitazione dei cibi carnei che il consumatore ‘target’ aborrisce, ma questo è un altro discorso…
Dario Dongo
Note
(1) «denominazione legale»: la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è ven duto al consumatore finale o alle collettività (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘n’)
(2) «denominazione usuale»:una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘o’)
(3) «denominazione descrittiva»: una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘p’)
(4) Ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/11, articolo 8