- 26/01/2019
- Postato da: Marta
- Categorie: Domande e risposte, Notizie
Caro Dario buongiorno,
Lorenzo Biagiarelli ha postato su Facebook il video della sua ricerca dei ‘Krumiri Rossi’, una produzione artigianale originaria di Casale Monferrato.
Avendo trovato chiuso lo storico negozio casalese, Lorenzo ha trovato quelli prodotti a Corino da soli quattro mesi. La proprietaria di ‘Krumiri Rossi’, da me interpellata, mi ha spiegato che oggi chiunque può usare il nome ‘krumiri’ sui biscotti, poiché il termine è ormai d’uso comune. Sebbene i ‘krumiri’ fossero stati inventati proprio nel loro negozio, nel 1878, e chiamati appunto ‘Krumiri Rossi’.
Cosa si può fare in questi casi?
Grazie, Giulia
Rispondono gli avvocati Dario Dongo e Domenico Demarinis*
Cara Giulia buongiorno,
il rischio di una gestione disattenta dei diritti di proprietà intellettuale è proprio quello della ‘volgarizzazione’ dei nomi, e così la dispersione dei relativi tesori. Come è accaduto a nylon, cellophane e rimmel, per citare gli esempi più illustri di marchi commerciali volgarizzati e così divenuti d’uso comune, senza alcuna residua chance di tutela.
Se l’ideatore dei ‘krumiri’ – oltre a registrarne il marchio – si fosse attivato per proteggerlo dalle imitazioni, lo avrebbe di certo salvato dalla volgarizzazione e potrebbe tuttora proteggerlo, a 150 anni di distanza, così come avviene per la Coca-Cola ad esempio.
La proprietà intellettuale può venire tutelata con efficacia anche a livello collettivo, da parte di gruppi di operatori che decidano di ‘fare squadra’ e avvalersi di un marchio collettivo e/o di una indicazione geografica. Con l’obiettivo di realizzare sinergie utili sia alla tutela – che richiede sempre vigilanza e reazione a tentativi di imitazione – sia alla promozione dei prodotti sui mercati internazionali.
Una lettura consigliata è ‘Denominazione di origine inventata’ (Mondadori, 2018) di Alberto Grandi, docente universitario che descrive con simpatia un’ampia casistica di prodotti locali accreditati sui mercati internazionali con alterni successi. Fino a raggiungere paradossi come quello della focaccia di Recco IGP, il cui disciplinare è così rigido da aver messo fuorilegge lo stand del Consorzio a Expo Milano 2015 (!).
La strategia è cruciale e va messa a fuoco fin da principio. Se l’obiettivo è valorizzare una singola impresa e/o i suoi prodotti, bisogna registrare il marchio su tutti i mercati e le classi (di prodotti e servizi) di potenziale sbocco. Tenendo a mente che se il nome è già diventato generico, come nel caso dei krumiri, non può venire registrato come marchio. Se invece l’obiettivo è quello di valorizzare una tradizione locale vi sono diversi strumenti che però devono venire gestiti collettivamente.
In conclusione, per i krumiri i giochi sono conclusi e il nome non può più venire registrato da parte di una singola azienda. Si potrebbe semmai provare a lavorare sulla base della registrazione PAT già intervenuta, o ragionare su una IGP. O ancora, forse meglio, sviluppare un nuovo progetto. I casi virtuosi non mancano, basti citare dell’angolo di pizza più famoso a Roma e dintorni, Trapizzino®, ora in grande ascesa.
(*) Domenico Demarinis, avvocato presso De Simone & Partners, docente a contratto di Diritto della Moda e della Proprietà Industriale presso UNINT