Etichette alimentari. “Può contenere…” ingredienti allergenici, lavori in corso a Bruxelles

Il regolamento UE 1169/11 ha perfezionato il regime di informazione al consumatore sulla presenza di ingredienti allergenici nei prodotti alimentari. Le migliorie (1) sono ancora da scoprire, in Italia, a causa del difetto di aggiornamento delle norme nazionali (2) e del quadro sanzionatorio. E intanto a Bruxelles, si prova a regolare l’impiego della dicitura “Può contenere…”.

La Commissione europea è tenuta a definire, con apposito atto di esecuzione, i requisiti per le “informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale negli alimenti di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranza”.(3)

Il gruppo di esperti su “Precautionary Allergen Labels”, composto da rappresentanti degli Stati membri e funzionari della Commissione, DG Santé, si è da ultimo riunito il 18 gennaio 2016 per fare il punto sulla situazione. L’approccio verso il c.d. “May contain”, vale a dire l’etichettatura precauzionale sulla possibile presenza di ingredienti allergenici negli alimenti a causa di contaminazione incrociata, dovrebbe essere basato sull’effettiva analisi dei rischi (HACCP) a seguito di corretta applicazione delle buone prassi igieniche (GMP) in ogni impianto di produzione.

Le verifiche condotte nel 2015, mediante un questionario circolato da Bruxelles, rivelano tuttavia che solo alcuni Stati membri sono effettivamente impegnati nella vigilanza sul corretto adempimento delle norme. E non tutti ad oggi considerano la “cross-contamination” al pari di altri rischi di contaminazione che possano incidere sulla sicurezza degli alimenti. Il “risk management” è a sua volta differenziato, laddove alcuni Stati membri applicano una “tolleranza zero” mentre altri modulano l’intervento (ri-etichettatura, ritiro, richiamo) in relazione ai livelli di contaminazione, limitandosi a notificare alcuni casi alle associazioni interessate.

Si rileva un generale consenso sull’opportunità di definire un approccio uniforme, a partire dalla valutazione del rischio. Il JRC (“Joint Research Center”) propone di organizzare un Gruppo di Lavoro volto a identificare metodi armonizzati di campionamento e verifica, che considerino sia le analisi PRC (non sempre efficaci, in ipotesi di carenza di residui di DNA sui materiali analizzati), sia metodi basati su anticorpi (es. ELISA, a loro volta talora non sufficienti, in relazione ai processi di trasformazione cui gli alimenti sono sottoposti).

L’informazione deve senz’altro venire estesa ai prodotti non preimballati, e seguire criteri uniformi atti a garantire indicazioni univoche ai consumatori vulnerabili. Bisogna fare chiarezza (4), escludendo anzitutto diciture incerte quali “tracce di…” (in assenza di definizione o misurazione delle “tracce”, e dei loro potenziali effetti clinici), piuttosto che riferimenti privi di significato per l’utente finale come “Prodotto in uno stabilimento ove sono presenti …” o “si lavorano anche…”.

I lavori proseguono, e dovranno sicuramente coinvolgere i centri di ricerca nonché le organizzazioni (5) dei pazienti affetti da allergie e intolleranze alimentari, ivi compresi i celiaci. Per l’informazione, la valutazione del rischio e la sua corretta gestione.

Dario Dongo
Note
(1) Il progresso è riferito con riguardo alla previgente direttiva allergeni, dir. 2003/89/CE e successive modifiche
(2) Il reg. (UE) n. 1169/11 prevede, in particolare, che siano i legislatori nazionali a definire “i mezzi con i quali le indicazioni o loro elementi” debbano essere resi disponibili in relazione agli alimenti non preimballati “e, eventualmente, la loro forma di espressione e presentazione” (articolo 44)
(3) Reg. (UE) n. 1169/11, Titolo V (Informazioni volontarie), articolo 36 (Requisisti applicabili), comma 3
(4) Cfr. https://foodagriculturerequirements.com/normative-allergeni-in-etichetta-gli-errori-piu-frequenti/
(5) Cfr. https://foodagriculturerequirements.com/presenza-accidentale-di-allergeni-le-richieste-della-fisma-ai-ministeri/



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